Storia di una maratona
“Posso accettare di fallire, chiunque fallisce in qualcosa. Ma io non posso accettare di non tentare.” – Michael Jordan –
Ripeto a me stesso queste parole ogni volta che sono in difficoltà. Non sempre mi aiutano a passare il mio momento difficile, ma mi ricordano di non mollare mai e di provarci sempre…
Ore 5.32 – Colazione
Il mio corpo non si è ancora svegliato completamente e sembra non aver gradito per nulla la sveglia nel cuore della notte. Cerco di fargli capire che l’ho fatto per lui: una buona colazione prima di una lunga fatica è fondamentale.
Brioche, nutella, pan-brioche: voglio regalargli il meglio.
Ore 6.00 – Vestizione
Come vestirsi? Che cosa mettere nello zaino che troverò all’arrivo?
Domande che si ripetono a ogni gara e che mettono sempre un po’ di ansia.
Questa volta ho deciso con anticipo, correrò leggero: nella mia testa l’idea di provare a fare ‘il tempo’ è sempre più viva.
Ore 8.30 – Ingresso zona D
La tensione è alta: come sempre le mie pulsazioni raggiungono a stento i cinquantacinque battiti al minuto, ma nella mia testa le emozioni e le aspettative sono tantissime.
Ho deciso di seguire la ‘sfida’ che mi è stata lanciata e di provare a scendere sotto il muro delle quattro ore. Per molti può essere banale, ma per la mia poca esperienza in queste gare è una sfida con un grado di difficoltà molto alto. Ci credo e sono molto fiducioso.
Ore 9.00 – Si parte!
A ritmo lento sfiliamo sotto lo striscione della partenza (e arrivo): lo guardo distrattamente e in modo superficiale. Me lo godrò completamente fra qualche ora: al momento per me è solo un obiettivo, un sogno da raggiungere.
Siamo in tantissimi e il ritmo è inevitabilmente molto basso. Un po’ m’innervosisco, vorrei andare più veloce ma è oggettivamente impossibile.
3° km
Mi fermo e mi libero dei liquidi in eccesso: è una mia abitudine fermarmi poco dopo la partenza, una superstizione.
Qui però il rischio è grosso: siamo in tantissimi e perdere anche un minuto vuol dire abbandonare i compagni di avventura e continuare la gara da solo.
Le gambe girano molto bene, la giornata è bella e mi sento felice di essere presente a questo evento.
Aumento notevolmente l’andatura per cercare di riprendere il mio gruppo e con un po’ di fortuna, poco prima del rifornimento, il trio si ricompone.
15° km – Terzo ristoro
I miei tempi sono buoni e non sento per nulla la fatica. Decido di bere e mangiare a tutti i rifornimenti: non sono abituato, ma la giornata è molto calda e non posso permettermi di rimanere senza energie.
18° km – La crisi
Il mio corpo mi avvisa che c’è qualcosa che non va.
Provo a non ascoltarlo e continuo con il mio passo. Purtroppo non è la classica crisi dovuta alla stanchezza o al caldo. Il mio corpo inizia a mandarmi segnali inequivocabili: non posso andare oltre e devo immediatamente trovare un locale per “sistemare” i miei problemi fisiologici.
Nella mia testa a ritmo forsennato si susseguono pensieri di ogni tipo: “Ormai non riuscirò più a raggiungere il mio obiettivo… E’ la fine… Non riuscirò più a riprendere la gara…”
Esco dal locale: mi sento un po’ meglio, ma psicologicamente sono a terra. Riprendere a correre dopo venti minuti di stop forzato è faticosissimo: le motivazioni sono poche e la paura di fallire è veramente tangibile.
19° – 25° km
Mi sento solo! Al mio fianco c’è tantissima gente ma non la vedo: sono a un passo dal baratro.
Sto ancora male e i chilometri ancora da affrontare sono veramente tanti. Corro pianissimo e a volte mi trovo a camminare… M’impongo di pensare positivamente: non voglio nemmeno pensare all’idea di ritirarmi.
26° km – Nuova crisi.
Ci risiamo: il mio corpo mi chiede una nuova sosta, me la impone!
Non posso che accontentarlo.
Dieci minuti e riparto. Sono a un passo dall’inferno: per un secondo penso al ritiro e con la mente cerco la fermata della metropolitana.
Devo riprendermi: non posso mollare! Ripeto a me stesso che ce la posso fare. Arriverò tra gli ultimi ma ce la farò.
28° km – I pacemaker
Corro solo per inerzia e forza di volontà: ormai non riesco più a capire come sto e se avrò ancora problemi. Le gambe non sono stanche, ma di testa sono sfinito. Ho paura di cedere.
“…dai vieni con noi e ti portiamo al traguardo…“
Queste poche parole mi portano in paradiso: sono i pacemaker delle “4 ore 45′”…
Mi affido completamente a loro, mi lascio coinvolgere dalla loro voglia di divertirsi e dalla loro gioia.
Cantiamo, gridiamo e incitiamo il pubblico: mi sento un’altra persona.
Sono fantastici m’incoraggiano, mi aiutano e mi fanno sentire un eroe che sta compiendo un’impresa fino a pochi minuti prima insperata.
Ora non penso più alla mia condizione fisica, mi diverto e sento che ce la posso fare.
35° km – Centro di Roma
Mi fanno capire che ormai manca poco e stiamo arrivando nella parte più bella della città. Ci chiedono un ultimo sforzo, ci ricordano di correre con il cuore e di dare tutto quello che abbiamo.
Ascolto il loro consiglio e cerco di vivere intensamente questi ultimi minuti di gara: mi sento felice, i problemi che ho avuto ora sono solo un lontano ricordo.
40° km – Altare della Patria
C’è tantissima gente che ci aspetta, l’atmosfera è fantastica.
I pacemaker i consigliano di continuare la gara da solo: ora il mio ritmo è buono e posso finirla tranquillamente senza di loro.
Li ringrazio e allungo la mia falcata, ma dopo poche centinaia di metri diminuisco la mia velocità.
Rallento e li aspetto: se tra qualche minuto proverò una grande gioia, è anche merito loro.
Non posso abbandonarli.
42° km – Mancano 195 metri.
Sono emozionato, felice e a stento trattengo le lacrime. Non ho raggiunto il mio obiettivo cronometrico, ma non importa sono felice: nel mio piccolo sento di aver fatto una grande impresa.
42.195 metri – Il traguardo
Dentro di me sono un vulcano di emozioni che non voglio esternare.
Aspetto a ritirare la medaglia, prima devo ringraziare i quattro pacemaker che mi hanno aiutato: eccoli stanno arrivando. Grazie ragazzi!
E ora in fila per il trionfo. In fila per la medaglia.
Aspetto a cercare il mio gruppo: voglio godermi questo momento da solo.
Ritiro la coperta termica in alluminio e mi metto in disparte a ripercorrere a quanto ho appena vissuto.
42.195 + 20 minuti
Eccoci tutti insiemi: le foto di rito non possono mancare.
Ora inizia una seconda maratona: quella dei racconti, dell’esternazione delle proprie emozioni, gioie e sofferenze. Correre è anche questo o forse correre è questo.
…e fra qualche ora s’inizierà a parlare della prossima sfida da affrontare o meglio della prossima sofferenza da superare…
Lo so non sono nato per essere un runner ma voglio crederlo ugualmente. Sofferenza e fatica, ripetitività e costanza, liberazione e appagamento: ho capito che non devo mollare mai, perché qualcuno o qualcosa mi può ‘raggiungere’. Il traguardo e lì… lo devo raggiungere… lo voglio raggiungere… lo devo raggiungere con il sorriso…
Marco Zerbini